
Little Bellies sfida Aldi sul confine tra design e imitazione
Un caso australiano riapre il dibattito sull’originalità grafica e sulla tutela delle opere di design nei prodotti di largo consumo.
Indice dell'articolo
Introduzione
«Il diavolo si nasconde nei dettagli» si dice. Ma cosa accade se quei dettagli sono soffici, colorati e confezionati in modo quasi identico?
È il caso della battaglia legale avviata in Australia da Hampden Holdings, titolare del marchio per snack biologici per bambini “Little Bellies”, contro il colosso tedesco Aldi. Al centro della contesa non c’è un brevetto né un marchio tradizionale ma una questione più sottile e, in fondo, più ambigua: la protezione del layout grafico del packaging come opera dell’ingegno tutelabile dal diritto d’autore.
L’originalità non è nei contenuti, sostengono i ricorrenti, ma nei piccoli tocchi visivi che trasformano un comune sacchetto di puff di mais in un linguaggio riconoscibile per il consumatore.
E se il diritto dei marchi ha già mostrato di non bastare a contenere le ambizioni difensive dei piccoli brand contro i giganti del discount, allora si passa all’artiglieria del copyright.
Il packaging tra diritto d'autore e proprietà industriale
Nel contesto australiano, la protezione invocata da Hampden Holdings si basa sulla qualificazione del packaging come artistic work, secondo quanto definito dalla sezione 10 del Copyright Act 1968.
Tale norma include tra le opere artistiche disegni, fotografie, pitture, grafici e planimetrie, anche se privi di particolare pregio estetico, purché originali. È questo il principio che consente di tutelare legalmente elementi visivi del packaging se dotati di creatività sufficiente, anche al di là del loro valore decorativo o funzionale.
Il cuore del contendere è dunque stabilire se Aldi abbia “riprodotto una parte sostanziale” dell’opera protetta, come affermato dall’avvocato Rathie, senza preoccuparsi di licenze o autorizzazioni.
Non è un caso isolato perché Aldi è recidiva: in passato ha resistito con successo a cause per violazione di marchio da parte di Frito Lay e Moroccanoil, mentre nel Regno Unito è stata invece condannata per aver copiato design registrati come nel celebre caso del “gin natalizio luminoso” di Marks & Spencer.
A differenza delle precedenti, questa nuova causa si basa esclusivamente sul diritto d’autore, senza appigli al trademark. Si tratta di una scelta strategica, anche perché Aldi ha spesso avuto la meglio in cause fondate sulla violazione del marchio.
Inoltre, secondo gli esperti, è un caso raro nel panorama australiano dove il copyright è stato finora poco impiegato per la tutela del packaging grafico.
La strategia è chiara: dove il marchio è troppo debole o generico per resistere, si fa leva sulla dimensione creativa. L’analogia con il diritto europeo, in particolare con la Legge 633/1941 italiana sul diritto d’autore, è sorprendente: l’articolo 2 di tale legge tutela esplicitamente «le opere dell’arte del disegno» e le opere «che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico» anche quando applicate al disegno industriale.
La zona grigia del diritto visivo: tra ispirazione e plagio
Il packaging si muove nel regno incerto dell’arte applicata: ha funzione estetica, ma anche utilitaria. Ed è proprio questo dualismo a renderlo difficile da inquadrare giuridicamente: il Codice della proprietà industriale italiano (D.lgs. 30/2005) e i Regolamenti UE sui disegni e modelli (Reg. 6/2002 e s.m.i.) distinguono tra forma dotata di carattere individuale e semplice decorazione priva di novità.
Ma quando si parla di snack per bambini con icone sorridenti, palette pastello e font rotondi, dove finisce la funzionalità e dove inizia l’arte?
In Europa, la Corte di Giustizia ha chiarito che anche piccoli elementi visivi possono essere protetti se originali (C-5/08 Infopaq). In Australia, la valutazione della violazione del diritto d’autore non si basa su un conteggio meccanico degli elementi copiati, ma sulla rilevanza qualitativa delle parti riprodotte, ovvero sulla ripresa degli elementi essenziali che conferiscono unicità all’opera.
L’interrogativo resta irrisolto: può un consumatore medio percepire la differenza tra due confezioni così simili?
E se non la percepisce, la tutela è davvero efficace o resta un’arma solo per chi può permettersi di difenderla in tribunale?
Davide contro Golia o marketing contro sistema?
Il fascino di questo caso non sta solo nei diritti invocati ma nella strategia: ogni brand minore che denuncia un gigante come Aldi attira l’attenzione, genera empatia e talvolta ottiene un cambiamento nel packaging; in alcuni casi anche un accordo confidenziale o il ritiro del prodotto contestato.
Non è tanto giustizia quanto “soft power” legale: la pressione reputazionale sostituisce l’incertezza del verdetto.
Il caso Little Bellies contro Aldi è dunque molto più che una querelle su tre snack per bambini a base di mais (in versioni al mirtillo, mela e cannella, carota) dalle confezioni sorprendentemente simili. È una riflessione sul diritto d’autore come presidio dell’identità commerciale, sulla vulnerabilità dei piccoli creatori e sull’erosione del confine tra creatività e consumo.