Proposta di legge sul diritto d’autore delle opere fotografiche

Il legislatore prova ad aggiornare il diritto d'autore in ambito fotografico, ma sta davvero cercando di capire la fotografia contemporanea o si limita a rincorrerla col fiatone?

La direzione è giusta ma vedo ancora insidie sulla strada.

Oggi convivono due anime della fotografia: da un lato l’immediatezza diffusa dove lo scatto è spesso un gesto istintivo e seriale; dall’altro interi settori in cui ogni immagine nasce da un processo meticoloso fatto di studio, costruzione e visione.
In entrambi i casi, però, si pone la stessa domanda: quando un’immagine può davvero dirsi “opera”?

La Cassazione (33599/2024) ci ricorda che la creatività non si presume. Perché ci sia tutela piena serve un apporto personale riconoscibile: nella scelta, nella regia dell’immagine, nell’intento espressivo. Non bastano il valore del soggetto, la qualità tecnica o l’impatto emotivo.
La legge deve imparare a distinguere tra immagini costruite per comunicare un messaggio, anche se tecniche, e semplici riproduzioni prive di una visione riconoscibile.
È una differenza sottile, certo, ma è proprio lì che si gioca il senso della tutela autorale.

E qui la proposta di legge rischia di inciampare nella sua ambizione.
Si parla di proteggere anche le foto “nascoste”, mai pubblicate. Ma se l’autore non ha mai voluto diffonderle, se non le ha mai rielaborate, esposte, nemmeno mostrate… stiamo difendendo un’opera o un file abbandonato/scartato?

Si ipotizza che per queste immagini la durata dei diritti possa essere calcolata non dalla data dello scatto (come avviene oggi per le semplici fotografie tutelate per 20 anni), ma dalla data della loro pubblicazione, oppure dalla morte dell’autore.
Ma sorge una questione delicata: se una fotografia non è mai stata pubblicata, mai mostrata, né riconosciuta come espressione creativa dallo stesso autore, su quali basi le si può attribuire un valore tale da giustificare una protezione estesa nel tempo?
Come distinguiamo tra un’opera nascosta e un semplice scatto mai finito, mai voluto, mai considerato?

Interessante anche il tentativo previsto nella proposta di dare finalmente una cornice normativa chiara al concetto di “opera collettiva”, ma siamo pronti a normare la complessità senza soffocarla?
Perché la fotografia collettiva, come un film o una performance, non sempre nasce da ruoli definiti e il confine tra autore e collaboratore è spesso fluido.

Quanto margine lascerà la legge a queste zone ibride, dove l’opera è co-generata più che co-firmata?
In fondo, più che una definizione, forse serve una grammatica della collaborazione.

Io credo che una riforma serva eccome. Ma che serva soprattutto una riforma che sappia distinguere, che protegga chi davvero crea e non chi semplicemente cattura.
Che non si limiti a cambiare le date e i termini, ma che rimetta al centro la qualità, la scelta, la visione.

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